Covid, i commessi dei supermercati hanno paura: “Ambiente ad alto rischio, nessuno ci protegge”

Elena, è una cassiera di Bergamo e in una lettera ha raccontato tutta la sua rabbia per il fatto che la sua professione, non sia considerata a rischio, nonostante il continuo lavoro a stretto contatto con il pubblico.

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Getty Images / Emanuele Cremaschi

“Nessuno ha mai detto un grazie per aver messo sempre a rischio la nostra vita e quella dei nostri familiari” Elena, una cassiera di Bergamo, in una lettera racconta tutto il suo rammarico per non aver ancora ricevuto il vaccino, come l’intera categoria di dipendenti dei supermercati. Come lei, nessuno si è mai fermato dall’inizio della pandemia ed il contatto con il pubblico è sempre stato presente e, tante volte, molto difficile. Ma nonostante questo il comparto non è stato considerato tra le categorie a rischio ed i vaccini anti-Covid, per le cassiere ed i cassieri, tarderanno ad arrivare mentre lo ha ricevuto chi non è a contatto con il pubblico.

Elena esprime quindi la sua “disarmante rassegnazione” di fronte a tutto quello che deve affrontare ogni giorno. Racconta delle scarse tutele per la salute che invece sarebbero dovute essere fondamentali: i plexiglas, troppo piccoli e di fatto quasi inesistenti, davanti alle postazioni di lavoro e delle mascherine che ad inizio pandemia era meglio non indossare per non impressionare i clienti. La donna sottolinea il fatto che anche il suo lavoro è stato di servizio essenziale ma questo non è stato abbastanza per rientrare nelle categorie a rischio, vedendosi passare avanti nella campagna vaccinale da chi, quel rischio, non lo vive.

La cassiera di Bergamo racconta di scene di quotidianità lavorativa dove i clienti non tengono la mascherina ben posizionata sul volto, oppure la abbassano “per leccarsi le dita per prendere i soldi dal portafogli” e le discussioni che spesso insorgono nel momento in cui vengono fatte notare le disattenzioni. E ancora di persone che si presentano in cassa raccontando di essere stati a contatto con un positivo noncuranti della quarantena preventiva necessaria per la tutela di tutti. E nonostante tutto questo il loro lavoro non è considerato a rischio ed Elena ricorda con dolore colleghe che sono finite in terapia intensiva ed altre che non ce l’hanno fatta.

Nella lettera emerge quindi tutta la rabbia del non essere stata protetta, e che questo continua ad accadere. La delusione del sentirsi dare un valore che è sotto lo zero in quanto cassiere, come se fosse una professione che vale meno per essere non essenziale, a differenza del servizio che offre. E sottolinea il fatto che molte persone scelgono questo lavoro nonostante gli studi per esigenze o difficoltà familiari, come se fosse necessario giustificare le proprio scelte lavorative. “Essere cassiera non significa essere stupide” scrive Elena, probabilmente con l’amara consapevolezza che, oltre alle persone fragili, si dia priorità a vaccinare i titoli di studio più che proteggere chi si espone ogni giorno al rischio di contagio, come il caso dell’ordine degli avvocati della Toscana o dei professori universitari che non hanno lezioni in presenza ormai da mesi. Ed è sicuramente triste che invece sia necessario giustificarsi, in una società che ci definisce in base all’abito che si porta e non al valore effettivo che si ha.

 

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